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Dieci ragioni per cancellare subito il tuo account social, di Jason Lanier



A quanto si racconta[1], Marco Porcio Catone – meglio noto come Catone il censore – era solito concludere ogni suo discorso in Senato, negli ultimi anni della sua vita, con la frase Ceterum censeo Carthaginem esse delendam (Per il resto penso che Cartagine debba essere distrutta), tanto era il timore che ancora egli sentiva nei confronti della storica nemica di Roma circa la possibilità che potesse nuocere alla Repubblica e ai suoi cittadini. In modo simile Jaron Lanier chiude i suoi capitoli invitando il lettore a cancellare i propri account social (e non uno solo, naturalmente: tutta la compagnia che fa capo a Zuckenberg (Facebook, Whatsapp, Instagram) e ciò che orbita attorno al colosso Google; anche Linkedin, seppur con minore nettezza, viene ascritta alla perfida compagine).


È un libro dichiaratamente manicheo. I social sono il male e il male va combattuto. Come vedremo a breve, nel libro si trovano dieci valide ragioni per compiere il folle volo dalla sfrenata connessione sociale che ci impegna quotidianamente ad una più morigerata astinenza da like, post, sharing e annessi.


Lanier non ce l’ha con la tecnologia. O coi suoi feticci. Internet è dalla parte del bene, le e-mail sono inevitabili, il cellulare e i computer sono validi e utili strumenti (anche se è innegabile che la loro portabilità e accessibilità facilitino il processo di modificazione di massa al quale Lanier dedica i suoi attacchi). Ciò che non funziona e, ancora di più, ciò che è deleterio è una specifica idea di business che c’è dietro alla galassia social e che viene riasssunta nell’acronimo BUMMER: Behaviors of Users Modified & Made in a Empire for Rent (ma nel testo italiano troviamo, riadattato ed esplicitato più che tradotto, FREGATURA: Fornire ai Re dell’Economia Globale Annunci che Trasformano gli Utenti Ridotti in Algoritmi).


La FREGATURA è una macchina, una macchina statistica che vive nei cloud informatici. Si parla di fenomeni statistici, di fenomeni imprecisi, ma non per questo meno reali. Il massimo che possano fare gli algoritmi della FREGATURA è calcolare la possibilità che una certa persona agisca in un determinato modo. Ma quella che per una singola persona magari è solo una possibilità, inserita nella media di moltitudini di persone si avvicina a una certezza. Una popolazione può essere influenzata con maggiore prevedibilità rispetto a una singola persona.

Jaron Lanier

E questa idea di business è propria di Facebook e di Google soprattutto (mentre altre grandi compagnie vi fanno ricorso più saltuariamente), ed è tanto più dannosa questa loro versione di capitalismo tecnologico spinto quanto più surrettizio e fuori controllo è il lavorìo degli algoritmi che analizzano i nostri comportamenti per generare contenuti specifici da farci fruire e attraverso i quali modellarci.


Uno scenario a dir poco fosco eppure non così inaudito. Sono molti gli autori (spesso relapsi della Silicon Valley) che mettono in guardia da una troppo facile e disincantata fruizione dei social network, additandone i rischi e soprattutto gli effetti impreveduti sulle nostre persone e sulla nostra vita relazionale.


La dipendenza ti trasforma gradualmente in uno zombi. Gli zombi non possono scegliere. Anche qui, il risultato è statistico, non perfetto. Diventi sempre di più come uno zombi, e passi in questo stato sempre più tempo.

Quali dunque queste dieci ragioni? Rimando la loro completa discoperta alla lettura, che a mio avviso ognuno dovrebbe concedersi come generico avvertimento: si va dalla perdita della libertà di scelta al deprezzamento quasi totale delle proprie parole; dall’aumento della perfidia e dell’odio nel modo in cui viviamole relazioni social, alla scomparsa di un metro uniforme e condiviso per falsificare le affermazioni, unico viatico alla possibilità che una verità si dia.

Ciò che più conta dire e che Lanier ne avrebbe potute indicare molte di più – sono parole sue – ma si è limitato ad ambiti che pertengono alle sue più solide conoscenze ed esperienze. Ed è questo, in fondo, stante l’universo social in cui a ciascuno è permesso dire, condire e pontificare su ciò che è per lo più poco noto, una pratica di salvifica inattualità.


La soluzione proposta da Lanier, infine, non è poi così definitiva. Il consiglio è quello di prendersi un periodo di vacanza, sei mesi magari, in cui abbandonare la vita per come la conosciamo e vedere l'effetto che fa. Potrebbe piacere, potremmo addirittura imparare qualcosa in più su noi stessi. Possibilità inesplorate, vie secondarie, pensieri e azioni che ci appartenevano e abbiamo dimenticato. Noi stessi, forse. Se il rischio è quello di ritrovarci, potrebbe valerne la pena.


L'autore: Jason Lanier (1960) è un informatico, giornalista e saggista statunitense, pioniere della realtà virtuale e sostenitore di un approccio umanistico alla tecnologia. Negli anni ha elaborato una visione critica del Web che ha compiutamente illustrato in saggi in cui riflette sull’impatto sociale delle nuove tecnologie e dei social media e sulla filosofia della consapevolezza e dell’informazione: Information is an alienated experience (2006), You are not a gadget: a manifesto (2010; trad. it. 2010), Who owns the future? (2013; trad. it. La dignità digitale al tempo di internet. Per un'economia digitale equa, 2014) e Ten arguments for deleting your social media accounts right now (2018; trad. it. 2018). Nel 2014 l'Associazione librai ed editori tedeschi gli ha conferito il Friedenspreis. (fonte: Treccani.it)


Lanier è anche un apprezzato musicista e vanta collaborazioni importanti (Ornette Coleman, Philip Glass, Terry Riley e altri. Un suo brano qui.

[1] «Dicono inoltre che Catone scuotendo la toga facesse cadere nel Senato dei fichi portati a bella posta dalla Libia. Poi, ammirandone tutti la grandezza e la bellezza, disse che una città la quale produceva questi frutti distava da Roma 3 giorni di navigazione. [2] E in questo la sua azione era più incisiva, nell’aggiungere in ogni questione su cui si doveva esprimere il proprio voto: — È mia opinione che Cartagine debba essere distrutta. […][3] Catone, com’è probabile, vedendo che il popolo ormai commetteva molte prepotenze e, insuperbito per i successi riportati, non si lasciava guidare dal Senato, e per il suo potere trascinava a forza tutto lo Stato là dove esso si volgeva mosso dai suoi impulsi, volle che fosse imposta questa paura di Cartagine come un freno di correzione alla protervia della massa. Egli stimava i Cartaginesi non sufficientemente forti per sopraffare i Romani, ma troppo forti per non dar motivo di preoccupazione», Plutarco, Vite parallele, A cura di Antonio Traglia, UTET, Torino 1992

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