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I magnifici dodici. Gli dèi dell'Olimpo, di Barbara Graziosi

Aggiornamento: 8 dic 2021


In questo libro, uscito ormai da qualche anno, Barbara Graziosi, Professor of Classics all’università di Princeton, non propone l’ennesima ri-narrazione dei miti classici, né, al lato opposto, affronta il mito per la sua possibile capacità conoscitiva universale e a-temporale; piuttosto va alla ricerca delle tappe principali in un racconto che riesca a rispondere alla seguente domanda: com’è possibile che dopo quasi tre millenni di storia umana gli Dèi dell’Olimpo siano riusciti a resistere e ancora facciano parte delle nostre conoscenze, del nostro immaginario, della nostra letteratura?



Questo viaggio, indubbiamente pieno di fascino e costellato di incursioni in opere di teatro, di filosofia, di scienza, di religione, parte addirittura dall’epoca micenea dove già esistevano alcuni degli dèi che poi si consolideranno più tardi. Apollo, il simbolo forse più cristallino della grazia e della misura della grecità, era assente, ma non così Dionisio, ad esempio, o Era, alla quale erano riconosciuti tributi maggiori di quelli dell’omologo di Zeus.

Certo, è con l’VIII secolo, cioè con la fase arcaica della cultura propriamente greca, che inizia la sistemazione dell’Olimpo e dei suoi abitanti, così come risultano familiari ancora a noi oggi. Omero ed Esiodo sono gli artefici principali di questa attività mitografica e, a leggere quel che ne dice Erodoto, «rivelarono per primi ai Greci la teogonia, diedero un nome agli dèi, ne determinarono gli onori e gli ambiti specifici e ne descrissero l’aspetto»[1].


Quello che viene messo fin da subito in chiaro è che l’intento dei due poeti non fu quello di analizzare i vari culti locali per capire e interpretare in cosa si differenziassero o a quale archetipo rimandassero, come a voler individuare una retta via originaria; i loro racconti (miti, appunto) “rivelarono a tutti i grecofoni come gli dèi si comportavano fra loro sull’Olimpo”, perché questo era di interesse collettivo, a prescindere dalle singole, locali, forme di devozione. La grande storia della loro lunga resistenza nasce in un’idea poetica inclusiva.

Che funzionava, e bene, per i Greci e, secondariamente, per chi il greco lo capiva. Perché in fondo questi dèi erano molto caratterizzati in quanto greci, cosa che andava a contrastare l’idea di divino come essere (principio) universale. Sono critiche che nascono già nel VI secolo, con Senofane, e che non smetteranno mai di affiancare, o addirittura sovrastare, la rappresentazione olimpica della divinità. La filosofia greca nasce proprio come ricerca gnoseologica e ontologica che prescinde dal discorso proprio dei miti. Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, Democrito prima, Socrate, Platone, Aristotele poi, si mettono dall’altra parte della barricata, dove al racconto mitologico si sostituisce il logos razionale nelle sue varie declinazioni.


Il periodo classico della storia greca vide, oltra all’elaborazione delle più grandi imprese filosofiche dell’antichità, le somme creazioni dei tragediografi, le clamorose vittorie sul nemico persiano, l’accentramento del potere politico della lega Delio-Attica in Atene per opera di Pericle; in questo panorama composito, ricco, dinamico, gli dèi dell’Olimpo contribuivano mantenendo una sorta di fondale persistente e solido; così si spiegano le numerose figure di intellettuali chiamati a giudizio per empietà ed esiliati (Anassagora, per esempio), se non addirittura mandati a morte (il caso famoso, emblematico, è quello di Socrate, anche se va detto che la condanna a morte era molto rara).


Il periodo ellenistico, rappresentato dalla straordinaria figura di Alessandro Magno, implica da un lato la diffusione del pantheon greco in un territorio enorme, che si estendeva fino all’India e che quindi generava prolifiche mescolanze con le culture e le tradizioni locali; dall’altro una nuova forma di critica agli dèi olimpici, i quali vengono intesi non più come divinità eterne (qualità che pertengono invece agli astri, al vento, all’acqua etc.), ma come grandi uomini del passato che per merito delle loro incredibili imprese sono stati divinizzati. È il contenuto della Storia sacra di Evemero.


Quello che caratterizza invece l’epoca romana è un fenomeno incredibile di appropriazione, di traduzione delle divinità greche all’interno della cultura latina, nell’ottica di un più generale processo di assimilazione che comprendeva anche il teatro, la filosofia, l’educazione etc. Se la religione tradizionale latina era caratterizzata da figure non ben delineate e che andavano soprattutto placate, dopo le conquiste e i contatti con la cultura ellenistica, il pantheon romano si arricchisce e si fa molto più complesso e strutturato, mostrando anzi alcuni cambiamenti sostanziali come nella figura di Marte, un dio molto più importante e positivo rispetto all’Ares greco. Cesare e il figlio Augusto, nella propria esaltazione, riconducevano i successi alla benevolenza divina, la poesia li glorificava e ne cantava la nobile discendenza, seppure qualche voce fuori coro provava a dare una diversa versione dei fatti, come Ovidio, che riconduce la divinità alle forze creative dell’essere umano.

Apollo non aveva equivalenti nella tradizione romana e fu una nuova introduzione e mantenne il nome originario; similmente accadde per Dionisio, il cui nome fu però tradotto in quello di Bacco, dio attorno al quale si crearono dei gruppi di iniziati; i culti misterici ai quali si dedicavano non furono ben visti dalle autorità che vedeva in essi una minaccia alla costituzione e alla solidità della tradizione.

Questo fu l’ultimo momento di vera gloria per gli dei olimpici, che dopo l’affermarsi del cristianesimo (soprattutto grazie a Costantino) furono definitivamente destituiti del loro status divino e finirono per rappresentare le tentazioni dell’animo umano, sotto forma di demoni e oscure potenze. Alternativamente, grazie alla cultura islamica, tollerante nei confronti delle credenze altrui, finirono mantenersi in vita nelle raffigurazioni dell’astrologia.


La fine del Medioevo e il Rinascimento riproposero la cultura antica e l’arte classica, grazie anche all’arrivo nelle corti europee (e prima di altrove in Italia) di testi fino a quel momento sconosciuti. Era il periodo d’oro delle traduzioni e della filologia. Contemporaneamente, le spedizioni verso il nuovo mondo ampliarono le conoscenze, mettendo a disposizione anche altre mitografie che confermarono la stretta correlazione tra creatività umana e rappresentazioni divine.


La più gran parte del libro di Graziosi si esaurisce col Rinascimento, lasciando all’epilogo il compito di riassumere ciò che nei secoli che uniscono Barocco e contemporaneità è stato degli dèi partiti da Micene. Una chiusura veloce, in verità, in cui viene di colpo a mancare l’approfondimento dedicato alle epoche precedenti. Se, in parte, ciò si spiega con la formazione e la specializzazione dell’autrice, cionondimeno si sente la mancanza delle tappe conclusive di un viaggio davvero straordinario, che permette anche a noi oggi, pur quotidianamente stimolati da insistenti narrazioni, di perderci nelle storie di tradimenti, vendette, ripicche, inganni e astuzie che videro protagonisti Zeus tonante e il suo nutrito gruppo dèi.



[1] Erodoto, Storie, II, 53, 2, trad. dell’autrice.

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