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L’Adelphiade - Ovvero: Il buonanno si vede dal mattino. Settimana 1


Ho deciso, come regalo e come augurio per questo incipiente 2020, di leggere un Adelphi al giorno, finché ne ho il tempo, finché altre incombenze me lo concedono, finché dura l’entusiasmo. Perché Adelphi? Potrei dire perché è una casa editrice iconica. Sarebbe vero. O perché pubblica testi e autori sempre interessanti. Sarebbe altrettanto vero. O perché è la casa editrice che ha in catalogo tutto Simenon. Vero anche questo. O forse è solo un caso ed è capitato che mi sia trovato, il primogennaioduemilaventi, con in mano un volume della Piccola biblioteca e lì ha cominciato a serpeggiare l’idea. In fondo le motivazioni, come le intenzioni, contano sempre poco, nei processi come nella vita, di fronte agli esiti delle nostre azioni. È un argomento che sta al cuore del volume di Jouhandeau, come leggerete sotto. Ho creato l’hashtag #unadelphialgiorno, per i post nei miei profili social in cui metto la foto e una citazione tratta da ciascun volume; non pago, ho pensato che tanta lettura val bene anche una pagina del blog, in cui dar conto di cosa c’è dentro quei libri che per me vale ricordare. Quindi ecco com’è andata la prima settimana, dedicata, forse anche per cautela, solo alla collana Piccola Biblioteca. Buona lettura. GIORNO 1 Martin Heidegger, Lettera sull’umanismo, PB 351

Il testo fu scritto da Heidegger (1889-1976) nel dicembre del 1946 come risposta (anche se la versione definitiva è una rivisitazione di quella originaria) a una lettera che l’intellettuale francese Jean Beaufret gli aveva inviato e nella quale venivano poste alcune precise domande suscitate dal dibattito in patria sull’esistenzialismo:

* la natura del rapporto tra coscienza ed essere * la possibilità della comunicazione tra gli uomini a partire dall’essere * il modo in cui ridare senso alla parola “umanismo”

Se l’interlocutore prossimo è, si diceva, Beaufret, è evidente che quello vero a cui Heidegger parla è Sartre, autore de L’essere e il nulla (1943), opera capitale influenzata proprio da Essere e tempo (1927) di Heidegger; ma autore soprattutto de L’esistenzialismo è un umanismo (1945), nella quale egli torna ai temi dell’esistenzialismo che in sostanza afferma che l’esistenza precede (e ne è superiore) l’essenza, centrando l’uomo (la soggettività) rispetto al tutto. Partendo da una riflessione circa l’agire dell’essere, attraverso una decisa affermazione che tra l’uomo e qualsiasi animale la differenza è totale e sostanziale, Heidegger dice che il vero agire umano (e quindi, a ciò collegato, il suo ethos) è quello che porta a compimento ciò che già è e non come si crede la pro-duzione. L’essenza dell’uomo per Heidegger, in contrasto con Sartre, è quindi l’e-sistenza, un soggiorno e-statico nella dimora dell’Essere, di cui l’uomo è il pastore. Nella lettera sull’umanismo si fa più volte riferimento a Essere e tempo, al linguaggio ancora ancorato alla metafisica che lì inevitabilmente Heidegger usava e al tentativo, non ancora riuscito, di oltrepassare quella stazione per poter dire in modo semplice l’essere. Questo testo, ostico sotto certi aspetti, costituisce quindi una tappa di transizione verso le più compiute opere della seconda fase speculativa heideggeriana. GIORNO 2 Guido Ceronetti, Pensieri del tè, PB 203

Questa raccolta di aforismi vide la luce nel 1987, quando la guerra fredda tra USA e URSS stava imboccando la sua ultima fase. Ricordo questo dato storiografico perché spesso, tra i pensieri di Ceronetti (1927-2018) qui raccolti, ci sono riferimenti all’Unione sovietica (sia a quella profana e militare, sia soprattutto a quella esule e spirituale), e mai in termini d’elogio. I temi sono disparati: dalla religione al misticismo, dall’ambiente all’alimentazione (l’autore era vegetariano), dalla letteratura ai ricordi di amici e personaggi noti e meno noti. Tra gli scrittori, un posto d’onore lo occupa l’amatissimo Manzoni, anche quello dell’Adelchi, mentre non così bella figura fa la poesia italiana. Sebbene capiti talvolta che a un medesimo tema siano dedicati due o tre pensieri consecutivi, non c’è alcun filo conduttore che leghi gli aforismi, che seguono invece il libero flusso di una mente eccentrica e sempre contro corrente. Consigliato mattina e sera, come il tè verde che Ceronetti beveva per essere disincagliato dall’inebetimento. GIORNO 3 Shirley Jackson, La lotteria, PB 555

4 racconti brevi quelli di Shirley Jackson (1916-1965) qui raccolti: due belli, uno più che bello, uno, La lotteria, perfetto. È, quest’ultimo, anche il racconto per il quale la scrittrice, californiana di nascita e newyorkese di formazione, è giustamente nota. Un impasto di contrasti sopraffino e una capacità di creare tensione con poco che ha dell'incredibile. La solitudine dell’essere umano, la paradossale innocenza della forma che il male talvolta assume nei negozi umani, il buio privo di speranza nel quale finiscono i casi della vita, il labilissimo confine che sussiste tra sanità e follia e tra apparenza e realtà: sono i temi delle storie raccolte in questo agilissimo volumetto che ha il difetto di finire troppo presto. GIORNO 4 James Boswell, Visita a Rousseau e a Voltaire, PB 4

Se qualcosa non difettava a James Boswell (1740-1795), più ancora che l’acutezza di ingegno e l’abilità stilistica, era da un lato la considerazione di sé e, dall’altro, la caparbietà nel perseguire i propri scopi che da quella discendeva e a quella ritornava, in un circolo etico e speculativo che si autoalimentava. Boswell, autore di quella che da alcuni è considerata come la migliore biografia mai scritta in lingua inglese (Vita di Samuel Johnson, pubblicata sempre da Adelphi), compie tra il 1763 e il 1765 il Grand tour nell’Europa continentale lasciando tracce preziosissime nei suoi diari, a lungo rimasti inediti. Una piccola parte di essi corrisponde al testo qui presentato, che copre il mese di Dicembre del 1764, quando Boswell, giunto in Svizzera, fa in modo di essere ricevuto da due delle più celebri personalità della letteratura e della filosofia illuministica del tempo: Rousseau, confinato in un’umile casetta a Môtiers, con la governante-amante Thérèse La Vasseur, e Voltaire, che occupava invece con uno stuolo di servitori e altra gente da lui mantenuta e ospitata, un castello a Ferney. Le parti più interessanti sono proprio le conversazioni che l’autore tenne coi due, tenute a mente e poi riportate sul diario. GIORNO 5 Antoine Compagnon, Un’estate con Montaigne, PB 660

Il libro è un’ottima maniera per avvicinarsi al capolavoro del filosofo francese Michel de Montaigne (1533-1592), i Saggi (Essais, 1580, 1582, 1588, 1595 le 4 diverse edizioni, tre per mano dell’autore, una postuma) un libro che raccoglie numerosi pensieri e aforismo dedicati a svariati temi che vengono affrontati, come il titolo stesso lascia intendere (essai in francese significa esperimento, prova), senza alcuna intenzione apodittica né didascalica, ma quasi come costituissero un banco di prova per una ragione che, stante la matrice scettica dell’autore, non può mai ancorarsi a una verità certa, dogmatica. Ne è uscito una sorta di manuale per l’uomo che si interroga e così fa Compagnon, a cui è stato offerto di parlare per radio dell’opera di Montaigne e che ha scelto di partire ogni puntata da un frammento, per poi agganciare alcune riflessioni più generali sull’opera e sull’autore. GIORNO 6 Alexander Lernet-Holenia, Il barone Bagge, PB 135

Tra i più importanti scrittori e intellettuali austriaci, Alexander Lernet-Holenia (1897-1976) crebbe condividendo origini nobili per parte materna e militari per quella paterna. Se la prima rimane a caratterizzare quella forma di aristocratica indipendenza intellettuale che sempre lo contraddistinguerà, è rispetto alla seconda che Lernet-Holenia decide della sua vita, arruolandosi nel 1915 e partecipando come ufficiale alla Grande Guerra, ricavando esperienze e materiale per molti dei suoi lavori. Quello che qui presento è un racconto lungo, in cui la componente immaginifica e onirica degli eventi narrati prevale sul crudo realismo del contesto, la guerra tra Austriaci e Russia sul fronte orientale, nella sterminata pianura ungherese. A confronto, ancora una volta e come sempre nella storia della letteratura, Amore e Morte, in un’ultima infinitamente perpetuabile danza. GIORNO 7 Marcel Jouhandeau, Tre delitti rituali, PB 369

In questo libro Marcel Jouhandeau (1888-1979), scrittore francese, racconta di tre efferati delitti accaduti in Francia in quegli anni e capaci di suscitare un discreto scandalo pubblico. Che a Jouhandeau interessa e non interessa, nel senso i delitti gli danno l’occasione di interrogarsi sul male dalla sua prospettiva che è, va detto, assai particolare. Cattolicissimo, Jouhandeau è stato in vita oggetto di discriminazioni per la sua omosessualità ma è altresì presto diventato antisemita. Vive quindi un rapporto intimo con la contraddizione e spesso nel testo emerge la domanda circa la responsabilità del male che si compie. Soprattutto, dice, non si può considerare l’uomo in controllo totale del proprio destino, perché troppi e frequenti sono gli incontri e le occasioni che fanno volgere la direzione della nostra marcia su questa terra in direzioni non preventivabili. Il confine tra la santità e l’abiezione è labilissimo.

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