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Più serie di così! Quante storie per la filosofia.

Il libro di Ariemma, La filosofia spiegata con le serie tv, offre alcuni interessanti spunti su filosofia e didattica, a partire da ciò che in questi ultimi anni tanto ci appassiona sul piccolo schermo.

Bertrand Russell, introducendo la sua Storia della filosofia occidentale, scrive:

"L’incertezza tra la speranza ed il timore è penosa, ma deve essere sopportata se desideriamo vivere senza ricorrere a favole belle e confortanti. Non è bene né dimenticare le domande che la filosofia pone né persuaderci di aver trovato incontrovertibili risposte. Insegnare a vivere senza la certezza e tuttavia senza essere paralizzati dall’esitazione è forse la funzione principale cui la filosofia può ancora assolvere, nel nostro tempo, per chi la studia[1]".

Ma ormai pochi studiano la filosofia, e controvoglia spesso. In questo suo agile libretto, Tommaso Ariemma mette a frutto l'esperienza di docente liceale per mostrare che è possibile percorrere una via alternativa di insegnamento, magari partendo da quello che interessa gli studenti di oggi, abitatori di un tempo che si muove con velocità radicalmente diverse da quelle di generazioni precedenti. Le Serie Tv, dice Ariemma, possono offrire un supporto efficace, costituendosi come un luogo comune in cui trovarsi a discorrere, interrogando e rispondendo, fin quasi a restituire nuova vita alle sale frequentate da Socrate, ai giardini di Aristotele, ai portici di Zenone.

Il libro non va in profondità, anzi. Procede piuttosto per fotogrammi e illuminazioni, isolati da una serie di sguardi filosofici gettati ad alcuni episodi di altrettante serie, che permettono di imbastire una breve riflessione su alcune teorie filosofiche nodali per la storia del pensiero. Fatto per essere letto in breve tempo, fatto per incuriosire e sospingere il lettore attento e solerte a fare le sue proprie indagini, pungolato e alluzzato dalla possibilità che dietro a una scena o a un dialogo si nascondano secoli di domande e perlustrazioni del possibile.

O ancora, per dare qualche spunto a quei docenti e a quegli insegnanti di filosofia che stazionano in mare aperto, incuranti di ciò che avviene in città e ancorati a un tempo alla cattedra e a una idea di didattica ormai inefficace.


Sta qui il senso del titolo del libro, che altrimenti non troverebbe alcuna realizzazione tra le pagine dove ben poco si spiega e molto si suggerisce: un invito a insegnare filosofia aprendosi al dialogo e alla discussione, disposti, come insegna ancora Socrate [Gorgia, 458a] a confutare e a essere confutati, preferendo addirittura quest'ultima evenienza.


L'intento è meritorio, in un'epoca in cui la filosofia pare caduta se non in discredito, certo in un pozzo fondo e buio, dal quale a mala pena riesce a mandare fuori un filo di voce e saggezza.

Ma pure esistono i motivi per non piangersi addosso: nel pozzo, ad ascoltare Sciascia [Il giorno della civetta], c'è la verità e a ben guardare proprio da lì, dal fondo buio, ha avuto inizio il cammino della filosofia, se è vero

"Quello, Teodoro, che si racconta anche di Talete, il quale, mentre studiava gli astri e stava guardando in alto, cadde in un pozzo: una sua giovane schiava di Tracia, intelligente e graziosa, lo prese in giro, osservando che si preoccupava tanto di conoscere le cose che stanno nel cielo, e, invece, non vedeva quelle che aveva davanti, tra i piedi[2]".

Ariemma non è solo in questa via pedagogica.

Penso alla raccolta di saggi, uscita qualche anno fa a cura di William Irwin, Mark T. Conard and Aeon J. Skoble e intitolata I Simpson e la filosofia, dove attraverso i personaggi e le storie di una delle più longeve e memorabili serie animate americane (e non solo), vengono presentati e discussi alcuni dei più importanti temi della filosofia occidentale.

O ancora, alla attività di Ermanno Bencivenga, che attraverso un cospicuo numero di saggi divulgativi ha da sempre scritto cercando di riattivare la parte bambina di ciascuno in modo da mostrare quel nocciolo indissolubile dal quale parte sempre l'azione del pensiero: la meraviglia.

"Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando c’era già pressoché tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all’agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. É evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa[3]".

[1] Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, Longanesi, Milano 2014, Trad. di Luca Pavolini

[2] Platone, Teeteto, 174a, trad. di Claudio Mazzarelli, in Platone, Tutte le opere, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 20013, p. 223

[3] Aristotele, Metafisica, trad. di Giovanni Reale, Rusconi, Milano 1989, pp. 76-77

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